Tra tecnica e racconto: traina al serra

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  1. Bruno21
     
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    Il trillo della sveglia, mi fece sobbalzare.
    Era tutta la notte che trainavo senza aver avuto nessun accenno di un qualche interesse alle mie esche vive che da ore nuotavano indisturbate a otto e dodici metri di profondità dietro la mia barca.
    Finalmente, la canna posta sulla murata di sinistra si piegò e la frizione del mulinello entrò in funzione, ma, il suono di quell'oggetto infernale mise fine al sogno e tutto scomparve in un istante inghiottito dal buio della mia camera da letto.
    Cercai di premere subito il pulsante per fermare quell'odiato intermittente suono elettronico che non è raffrontabile con nessun suono terrestre e sembra provenire dallo spazio, da una lontana galassia che sorveglia il nostro sonno con l'unico scopo di intervenire sempre sul più bello.
    La mia sveglia è una di quelle prodotte in Cina, non sgarra di un secondo e la suoneria alza il volume del trillo man mano che trascorre il tempo prima di bloccarla, il difetto è che il pulsante che normalmente si trova nella parte superiore, qui in questa sveglia, per essere sicuri che la persona sia veramente sveglia, è trasformato in una levetta di difficile individuazione, che, una volta azionata, ne blocca il suono.
    La "passeggera" che divide con me il letto a due piazze, dette i primi segni di insofferenza girandosi dalla parte opposta, ma, so bene, per cinquantennale esperienza che successivamente, se non blocco subito la suoneria, inizieranno le "litanie" rivolte principalmente al sottoscritto, ma accumunando, ad ogni invocazione, via via, anche tutti coloro che condividano questa, secondo lei, insana ed infausta passione.
    Finalmente, con sollievo, riuscii a trovare la levetta e un attimo dopo tutto tornò nel silenzio in sintonia con il buio della stanza.
    Non mi alzai subito, ho molto rispetto per il riposo altrui, aspettai che il suo respiro si facesse regolare ed ebbi la conferma che si era riaddormentata quando il sibilo del suo respiro variò in un leggero ronfare, guai a chiamarlo russare, le signore non russano, dovuto unicamente, a suo dire, ad una sinusite che ha avuto da piccola, della quale, neppure sua madre si ricorda.

    L'acqua fresca del lavabo, tolse dal mio viso le ultime tracce del riposo notturno, e, finta la toilettatura scesi al piano terra per il caffè e per vestirmi con gli abiti adeguati.
    L'attrezzatura era stata accuratamente preparata e revisionata la sera precedente ed ebbi appena il tempo di portarla fuori della porta che giunse il mio amico e compagno d'avventura Vallero che si incaricò di sistemarla nel portabagagli della sua auto.

    Durante il viaggio verso Livorno, conversavamo su come avremmo organizzato la pescata e soprattutto quale zona avremmo battuto sia per la ricerca dell'esca, sia per trainare ai serra.
    Era la prima volta in assoluto che facevamo questa pesca, e, proprio per farla con tutti i crismi del caso, avevo acquistato un 5 cv. fuoribordo Mercury 4 tempi con serbatoio incorporato ed avevo sistemato sulla plancetta di poppa un supporto costruito artigianalmente dal sottoscritto e fissato nel punto giusto ed alla giusta altezza.
    Avevamo anche acquistato una prolunga della leva esistente sul motore, sia per tenere la rotta, sia per l'accelleratore.
    Il sabato precedente l'avevamo provato e tutto era risultato perfetto.
    Il motore, leggerissimo, era stato sistemato in cabina, in piedi, e l'operazione della sistemazione a poppa risultava elementare e poco impegnativa.

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  2. Bruno21
     
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    CAP 2

    Arrivati a Livorno, sistemammo tutta l'attrezzatura e posizionammo il fuoribordo che tenemmo al momento alzato, misi in moto i due entrobordo VM e partimmo scendendo i fossi medicei che portano all'interno del porto e poi in mare.

    La prima cosa da fare era quella di procurarsi le esche vive.
    Anche per la loro conservazione, la barca non è corredata dall'apposita vasca del vivo, per cui ho dovuto sopperire alla mancanza di questa con un contenitore in pvc, modificandolo e correggendolo mentre per il ricambio dell'acqua sono dovuto ricorrere all'uso della pompa per lavaggio del ponte, riducendone la portata mediante un rubinetto volante.
    Il livello del troppo pieno, invece, viene mantenuto costante tramite un tubo di scarico in plastica morbida, posto ad una determinata altezza, che mi consente di far defluire l'acqua in eccesso attraverso un ombrinale.
    Insomma, niente è lasciato al caso al pressapochismo o all'improvvisazione, ciò non fa parte del mio modo di fare, di pensare e di organizzare.
    Non andrei mai a pescare se tutto non fosse assolutamente perfetto.

    Uscimmo dal porto attraverso l'uscita a sud, ma ancor prima di raggiungere la Vegliaia, così si chiama questa parte della diga foranea, Vallero aveva già messo in acqua le due canne da traina per le aguglie.
    Queste due cannette sono delle telescopiche di lunghezza di un metro e ottanta, armate con mulinelli Daiwa, che, nonostante i venticinque e passa anni di età, sono perfettamente funzionanti e lucenti come appena comprati, frutto di una mia ossessione per tenere tutto in ordine, pulito e lubrificato.
    I mulinelli erano caricati con del comune nylon dello 0,20, acquistato a prezzo stracciato in un grande magazzino, il terminale invece, lungo dieci metri e fissato alla madre lenza tramite una minuscola girella cilindrica a tre snodi, era in f.carbon dello 0,12, anche questo acquistato a prezzo irrisorio presso un grande magazzino.
    L'esca era rappresentata da due matassine o meciuda autocostruite in raffinatissimo filo di seta, una di colore giallo e l'altra di colore rosa.

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  4. Bruno21
     
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    CAP 3

    Spensi un motore, quello di sx. perché con il dx. manovro meglio e proseguii al minimo; con un motore soltanto la velocità è di circa 2,5 nodi.
    Le matassine lavoravano ad una quarantina di metri da poppa....a proposito, sapete come si fa a determinarne la distanza senza dover tutte le volte misurarla con le braccia, oppure, peggio, svolgere la lenza a casaccio?
    Semplice.
    A casa si misura la lenza con precisione e poi si lega sulla stessa un segnalino di colore rosso ottenuto da semplice filato di cotone e fissato sul nylon con un nodo di stopper ed il gioco è fatto.

    Non avevo ancora completato la virata dopo l'uscita dal porto, per percorrere parallelamente la diga, che ambedue le canne si piegarono ed i mulinelli perfettamente tarati da Vallero iniziarono a cedere filo facendo gracchiare le frizioni.
    Inserii l'autopilota e mentre Vallero recuperava una canna, io mi occupai dell'altra, un minuto dopo la vasca del vivo era già popolata da due guizzanti aguglie.
    Proseguimmo rimettendo in pesca le canne, il nostro obiettivo era di procurarcene una dozzina di misura media, inizialmente, per prudenza le avremmo tenute tutte per poi, in seguito rimettere in libertà le più piccole.
    La pesca proseguì, ma la taglia dei pesci era poco soddisfacente, troppo piccole per essere innescate e nuotare liberamente.
    Ripercorsi in senso inverso il tratto lungo la diga della Vegliaia e proprio all'imboccatura del porto ne riprendemmo altre quattro di misura adeguata.

    Proseguii ancora verso terra attraversando interamente tutta l'uscita, poi virai molto largo di 180° e ripassai nuovamente dove avevamo trovato il branco di aguglie grossine e altre due finirono in vasca.
    Avevamo in tutto una ventina di aguglie, tenni le otto più grosse e quattro piccole di scorta, rimettendo in libertà le altre.

    Mentre Vallero rimetteva a posto le canne da aguglie e tirava fuori le canne da traina e gli affondatori, misi in moto anche l'altro motore e feci rotta verso l'altra uscita del porto, chiamata Vestrini che guarda verso nord.

    Il tratto che avevamo intenzione di percorrere trainando, era dall'imboccatura nord del porto verso la luminella, un braccio di mare di circa 3 miglia che corre parallelo alla costa.

    Per maggiore chiarezza, il porto Mediceo ha tre uscite, una a sud della quale abbiamo già parlato, una a nord ed una ad ovest.
    Le navi, dato il basso fondale, debbono entrare ed uscire unicamente dall'imboccatura ad ovest, dalle altre due escono ed entrano solo piccole imbarcazioni.
    La luminella è un fanale posto ad un miglio e mezzo circa dalla costa, non ne ho mai compreso l'utilità in quanto è all'interno delle secche delle Melorie.
    Le secche delle Melorie, distanti circa 3 miglia da terra, hanno una lunghezza di circa quattro miglia e corrono parallele alla costa, queste sono invece ben segnalate da due fari posti nell'estremità sud e nord delle stesse.

    continua
     
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  5. Bruno21
     
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    CAP.4
    Quando raggiunsi il punto di partenza previsto, Vallero aveva già fissato gli affondatori sui supporti dello specchio di poppa, aveva agganciato i piombi a disco e aveva posizionato le canne armandole con i terminali in cavetto di acciaio da 20 lb a due ami: il trainante scorrevole ed il pescante fisso.
    Spensi i motori ed aiutai Vallero a mettere in acqua il f.bordo, innestai la prolunga e tirai la maniglia della messa in moto, il motore partì immediatamente al primo colpo.
    Gli affidai i comandi dicendogli di puntare dritto sulla luminella, un minuto dopo eravamo in rotta ed alla giusta velocità che controllai sul GPS: un nodo.

    Prelevai dalla vasca la prima aguglia e la innescai, era la prima volta che eseguivo questa operazione da solo, senza nessuna supervisione degli esperti, per un attimo, nell'innescarla, ebbi il timore di averla uccisa, la misi in acqua e la osservai, ma l'aguglia nuotava tranquillamente incurante degli ami: uno alla base del becco e l'altro in prossimità del foro anale, mi congratulai con me stesso.

    Purtroppo a quei tempi non conoscevo la tecnica del piombo guardiano, per cui gioco-forza ero ricorso agli affondatori e al piombo per portare le esche alla profondità voluta.
    Feci scendere il piombo sotto il pelo dell'acqua e poi sistemai sul suo cavo di acciaio, l'apposita pinzetta a sgancio di Stonfo.
    La funzione di questa pinza è quella di liberare la lenza nella fase d'attacco del pesce, per ottenere questo, il nylon viene racchiuso tra due guancette in gomma la cui pressione per lo sgancio si può regolare mediante una rotellina numerata.
    Al momento dell'abboccata, se ben regolata la pressione, il nylon dovrebbe liberarsi dalla pinzetta, se non accadesse in questa fase, sicuramente si libererà al momento della ferrata.
    Il fondo era di circa 10 metri, per cui decisi che avrei pescato con una canna alla profondità di otto e l'altra di cinque.
    Innescai la seconda aguglia e calai anche l'altra canna, poi mi sedetti sul cofano-seduta di un motore da dove potevo controllare agevolmente le due canne in pesca.

    continua

    CAP 5
    Le canne erano inserite nei rispettivi portacanna degli affondatori.
    Percorremmo un mezzo miglio e ad un tratto mi parve di vedere una leggera flessione del cimino sulla canna a cinque metri.
    Non ne ero sicurissimo, ma anche Vallero mi confermò che l'aveva vista anche lui, presi la canna e per liberarla dalla pinzetta ferrai a vuoto, e poi recuperai la lenza.
    Quando apparve l'aguglia li per li non capii cosa fosse successo, c'era la testa da una parte e la coda dall'altra e mancava tutta la parte centrale.
    Non riuscivo a capacitarmi di come fosse possibile che i serra conoscessero queste malizie, si da vedere i due ami e mangiarmi la parte dell'aguglia dove non c'erano insidie.
    Rinnescai e ricalai, ma per tranquillità volli sincerarmi anche dello stato dell'altra esca.
    Rifeci lo stesso con la canna ad otto metri e tirai su l'aguglia divisa in due come l'altra.
    Avevo già l'aguglia in mano per rinnescarla, ma la canna a cinque metri partì decisa, la presi in mano e ferrai, ma il serra si era già agganciato per conto proprio.
    Non avevo mai preso un serra in vita mia e rimasi sorpreso della forza e delle evoluzioni che il pesce faceva per liberarsi dal mio amo.
    Cercavo di assecondare ogni suo capriccio, volevo quel pesce a tutti i costi, non era grandissimo, lo avevo visto, ma lo volevo in tutti i modi.
    Le canne da dodici libbre ed i piccoli mulinelli resero ancor più divertente il recupero, trascorsero una decina di minuti prima che si arrendesse e venisse docile verso il guadino che Vallero manovrava con maestria.
    Un sollevamento rapido portò il serra a pagliolo.
    Sapevo bene dei terribili denti a rasoio dei quali il pesce era dotato, così, dopo averne ammirato la sua livrea argentea, lo riposi nel contenitore frigo con il terminale in bocca, lo avrei tolto in seguito.
    Rimisi in pesca l'altra canna già pronta e legai un nuovo terminale a quella che aveva catturato.
    Non feci a tempo a terminare l'operazione di calata che vidi nuovamente il cimino della canna a otto metri piegarsi e poi raddrizzarsi, ormai avevo capito cosa mi aspettava per cui con calma finii di innescare la canna che avevo in mano e la rimisi in pesca.
    Recuperai l'altra lenza e trovai, come mi aspettavo, l'aguglia divisa in due.
    Innescai nuovamente e la calai.
    Facemmo un altro mezzo miglio, quando questa canna partì.
    La presi e ferrai, ma con la coda dell'occhio vidi che anche l'altra canna era piegata, non ebbi il tempo di avvertire Vallero che lui l'aveva già in mano e aveva ferrato, ci guardammo e cominciammo a ridere: e ora? Che facciamo?
    Dai proviamo a prenderli tutti e due, dissi a Vallero, il tuo che sembra più grosso è meglio recuperarlo per primo, io cedo un po' di lenza e lo faccio allontanare questo di una cinquantina di metri cercando di tenere sollevata la lenza, tu recupera prima possibile e speriamo bene.
    L'operazione ebbe successo, per due o tre volte pensai: ecco ora si imbrogliano i fili e li perdiamo tutti e due, chi troppo vuole... ma non successe, il motorino con il timone bloccato da Vallero andava dritto e davanti a noi era tutto libero.
    Il primo serra arrivò sottobordo, io rimisi la canna nel portacanne e lo guadinai, poi toccò al mio e Vallero fece lo stesso.
    Ci congratulammo per la duplice cattura, e neppure dieci minuti dopo le canne ritornarono in pesca.
    Mancava un miglio alla luminella quando si verificò un altro doppio attacco, però un serra con un'acrobazia riuscì a liberarsi, mentre l'altro, quello di Vallero finì a fare compagnia agli altri tre nel frigo.
    Eravamo soddisfatti, ma, ormai, volevamo arrivare fino alla Luminella.

    Girammo intorno a questa ad una distanza di un centinaio di metri e ne prendemmo altri due, uno grosso ed uno piccolo che era rimasto allamato ad un labbro, lo liberammo.

    Era quasi mezzogiorno ed eravamo appagati e soddisfatti, smontammo tutto e tornammo verso il porto.

    Il sabato successivo rieravamo in pesca, però questa volta i terminali erano a tre ami, non ho più trovato un'aguglia mangiata senza che il cliente non avesse pagato pegno.

    FINE
     
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