NAUTICA,CURIAMO LE NOSTRE BARCHE

PARLIAMO DI OSMOSI 2 parte

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  1. diegog
     
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    La salinità.
    In ambienti con salinità ridotta, o in acque dolci, il processo è ugualmente accelerato, in quanto la differenza di salinità fra le pareti della membrana (gelcoat) è superiore che nel caso di acque con elevata salinità.


    Gli agenti meccanici.
    Per agenti meccanici/chimici si intendono sia sfregamenti accidentali della carena, con relativa asportazione dello strato di gelcoat, oppure di molluschi, come per esempio i denti di cane, i quali, per potersi aggrappare alla chiglia, secernono delle sostanze chimiche in grado di attaccare il gelcoat, rendendolo farinoso nel punto di contatto.
    Va da se che la parte cosi' attaccata diverrà permeabile, consentendo l'ingresso all'acqua.

    Se siete arrivati a leggere questo capitolo vuol dire che la vostra barca è ormai alla frutta…..

    In ogni caso non c'è da disperarsi, ma preparatevi ad affrontare un lavoro con tempi lunghi e costi relativamente elevati.

    Vediamo insieme come fare per ottenere un buon risultato, in seguito al quale avremo una barca in piena forma per decenni:
    A barca in secco, innanzitutto una buona lavata con idropulitrice, a massima potenza.
    Quindi bisognerà noleggiare una sabbiatrice ad acqua, e, mascherando con del film di polietilene l'opera morta della barca, andremo a togliere antialga e tutte le parti che si riveleranno " morbide " della chiglia stessa, poiché attaccate da osmosi.

    Non abbiate paura a scavare,
    poiché in ogni caso quello che toglierete sarà soltanto fibra di vetro senza piu' alvcuna sostanza agglomerante, essendo la stessa disciolta chimicamente dall'acido acetico.
    Una volta raschiate completamente le parti attaccate, dovremo constatare i danni, che, se avremo fortuna, saranno soltanto superficiali (ovvero interesseranno soltanto il gelcoat) oppure nella peggiore delle ipotesi, avranno danneggiato uno o piu' strati di vetroresina.
    Continueremo l'opera lavando abbondantemente e ripetutamente la chiglia con acqua dolce, per poter togliere eventuali tracce di acido acetico.

    A questo punto non ci resta che aspettare…. diversi mesi.
    Avremo bisogno di un'ambiente possibilmente caldo ed asciutto, al fine di poter asciugare completamente la chiglia.
    Esistono alcuni strumenti per poter determinare il grado di umidità, ma, a mia esperienza, è sufficiente incollare il pomeriggio un foglio di polietilene sulla chiglia.
    Se il mattino seguente si vedrà della condensa cio' vorrà dire che la superficie non è ancora pronta da trattare.
    Una buona prevenzione è spesso meglio di una buona cura.

    E fin qui siamo tutti d'accordo, ma come ?
    Semplicemente applicando regolarmente l'antifouling, per evitare le formazioni di cirripedi sulla chiglia, i quali come abbiamo già visto, aggrediscono il gelcoat, aumentandone la porosità.
    Altra soluzione, ottima, è quella di mettere a secco la barca, quando non la si usa, per permettere allo scafo di asciugarsi.

    Nel caso di imbarcazione nuova,
    si agirà invece in questo modo :

    Previo pulitura della chiglia,al fine di togliere completamente lo strato di cera dal gelcoat, (si tratta del residuo dell'operazione di stampo), si carteggia con carta abrasiva fine (400 ad acqua) ed in seguito si applicano due mani di resina epossidica senza solventi, quindi ad operazione avvenuta, si applicherà un primer per antivegetativo ed in seguito l'antivegetativo stesso.
    Attenzione ! L'applicazione della resina , per quanto semplice, richiede dei tempi e delle condizioni atmosferiche ben definite, delle quali parleremo nel capitolo seguente.
    In questo caso dovremo studiare attentamente la nostra chiglia, considerando seriamente di rinforzare le parti piu' deboli, in modo da evitare una flessione eccessiva in navigazione.

    Consideriamo innanzitutto i vari materiali in commercio per poter rinforzare e/o riparare la vetroresina

    Fibra di vetro:
    Costo modico, buona resistenza alla compressione, peso elevato.

    Fibra di carbonio:
    Costo elevato, leggerissimo, ottima resistenza a compressione, scarsa in trazione.

    Fibre di aramide (Kevlar):
    Eccezionale resistenza alla trazione, scarsa in compressione,costo elevato.

    Fibre miste (Kevlar+fibra di vetro), comunemente chiamato Aramat :
    Ottima resistenza a trazione, buona in compressione, peso medio, costo relativamente contenuto.


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    Procedimento
    Per poter utilizzare questi materiali di rinforzo, generalmente venduti in rotoli di larghezza di 120 cm, bisognerà innanzitutto preparare in modo differente la chiglia, ovvero "pelandola" con una pialla elettrica, per asportare uno o piu' strati della vetroresina esistente.
    Quindi, in seguito ad una prima applicazione di resina epossidica senza solvente, si applicheranno, in modo da incrociarli, due strati di fibre.

    Consiglio inoltre un'ultimo strato di panno di vetro
    , leggerissimo, il quale darà una superficie relativamente omogenea al tutto.
    In seguito applicheremo uno stucco epossidico (importante, il poliestere non va bene), carteggeremo il tutto e quindi un'ultima applicazione di primer per antifouling.
    Un'ottimo risultato si ottiene applicando un primo strato di Aramat, il quale avrà una buona resistenza a compressione + un'eccezionale resistenza a trazione, senza dare i problemi di imbibimento comuni al Kevlar nudo.

    Il secondo strato andrà bene in VTR, ma nel caso si voglia alleggerire il tutto, e si vogliano caratteristiche eccezionali, a questo punto non resta che la fibra di carbonio, eccezionale per resistenza a compressione, quindi agli urti.

    Facendo cosi' avremo una chiglia che esternamente assorbirà gli urti,
    e possiederà una parte interna che lavorerà al contrario, cioè per trazione, quindi un'ottima resistenza pur mantenendo una relativa elasticità.
    Per quanto riguarda I vari tipi di resine epossidiche in commercio non ho rilevato sostanziali differenze qualitative, se non unico il prezzo, quindi una resina con caratteristiche dichiarate dii buon livello andrà benissimo.
    Attenzione, e questo è veramente importante, ai tempi e alle temperature di utilizzo, oltre ai dosaggi i quali devono essere precisi, pesati e non misurati, poiché i componenti non hanno lo stesso peso specifico.

    A differenza delle resine poliesteri,
    le quali hanno bisogno di un'induritore per catalizzare, le resine epossidiche sono prodotti a due componenti, i quali, in mancanza di uno o l'altro prodotto, daranno come risultato di avere parti non catalizzate, quindi liquide.
    I tempi d'utilizzo sono anch'essi importanti, poiché, a seconda della temperatura saranno più o meno brevi, e se lasciate catalizzare troppo poco la resina (vuoi per temperatura insufficiente, vuoi per fretta) avrete un supporto che avrà tendenza a trattenere i gas di catalisi, i quali saranno estremamente deleteri, in quanto daranno inizio immediatamente ad un processo di osmosi, e, nel caso contrario, ovvero di troppo lunga catalisi, non avrete piu' un'aggrappaggio dello strato successivo, col risultato che nulla si potrà aggrappare efficacemente sul supporto stesso.
    A questo secondo problema si può ovviare carteggiando la superficie, ma, vi assicuro che non è impresa da poco, anche perché la durezza della resina epossidica è estrema.

    Mi auguro di essere stato chiaro ed esaudiente, almeno in parte.

    Diego Gorni

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0 replies since 6/9/2005, 10:21   3636 views
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